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Dal respiro all’affanno



Il 31 dicembre 2019 la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan (Cina) segnalò all’OMS un cluster di casi di polmonite a eziologia sconosciuta, da qui ebbe inizio la storia della più grande pandemia dell’umanità in età moderna.

Il respiro, dio e signore del pensiero e della vita, si è imposto all’attenzione del mondo. L’evento violento da parte del virus ha trovato terreno fertile, intrecciandosi con le polveri sottili già diffuse a causa dell’inquinamento.

La virulenza devastante del virus ha reso impreparato e affannoso il respiro di una società malata, di una economia che ha glorificato il Prodotto Interno Lordo, capace di accrescere all’infinito le disuguaglianze sociali e i problemi alla nostra salute.

L’affanno è diventato la dimensione della nostra esistenza, con ricadute importanti sul nostro benessere e sulla nostra qualità della vita.


Che cos'è tecnicamente l'affanno?

L’affanno è l’espressione di un respiro difficile e rapido che stringe i bronchi e pesa sul diaframma. È il respiro di uno sforzo che ci coglie impreparati, che lascia uno stato di scoramento, un’emozione che occupa tutto l’orizzonte del pensiero e ci agita fortemente, come se trovassimo un ostacolo.

Proprio per la sua dimensione totalizzante esso diventa un rilevatore di emozioni molto interessante, mostra l’agitazione dell’animo in un modo che è difficile da dissimulare, perciò l’affanno diventa ansia, agitazione, preoccupazione, pena, inquietudine.


Che relazione c'è tra l'affanno e la pandemia?

La pandemia ha condizionato il respiro di tutti, ci ha costretti a chiuderci nelle nostre abitazioni, a tenerci a distanza dai nostri simili, a vedere in ogni essere umano un potenziale nemico. È stato un attacco globale al respiro della Terra, alla collettività, ai singoli, favorito dalle nostre debolezze intrinseche.

Questo attacco occulto al respiro ci ha messo in crisi, ha impegnato i nostri discorsi attraverso i dibattiti tra medici, scienziati, politici e opinionisti. Questo evento così eclatante ci ha portato verso una crisi di identità senza precedenti.

In poco tempo siamo passati “dal respiro all’affanno”, e la sensazione di sofferenza controllata ha reso urgente una riflessione a più voci su questa funzione, inducendoci a creare una nuova cultura della respirazione.


Che vuol dire cultura della respirazione?

La respirazione è un’azione fondamentale, non si limita solo a tenerci in vita, ma ha anche il pregio di sincronizzare le attività del cervello, ha un ruolo nella creazione dei ricordi e influisce sul nostro benessere psico-fisico. La cosa più ovvia è che chi ha vissuto di più, nel corso della sua vita avrà respirato di più.

Teniamo presente che respiriamo più o meno ventimila volte al giorno. Assorbiamo l’ossigeno per alimentare le nostre cellule e per liberare il corpo dall’anidride carbonica che si accumula nei tessuti come prodotto dei processi metabolici. La funzione respiratoria è vitale e la sua interruzione causa la morte in pochi minuti.

Questa meraviglia della nostra “macchina fisiologica” ha delle prerogative che sono: il suo automatismo, la sua affidabilità, la sua flessibilità tanto che il più delle volte non ce ne rendiamo conto, la diamo per scontata.

La caratteristica specifica del respiro è il suo ritmo, che determina la sua frequenza e la modalità soggettiva di respirazione di ogni individuo. Queste dinamiche si modificano e cambiano quasi istantaneamente e in contemporanea come risposta a quello che ci accade, allo stress, all’eccitazione o anche prima di cominciare un’attività fisica intensa. Il meccanismo è naturalmente connaturato alla dimensione “corpo-mente”. E l’immanenza di tali dinamiche è responsabile delle variazioni “corpo-respiro”. Queste variazioni di intensità ritmo-corpo-respiro non sono altro che la ricerca permanente di una propria modalità di respiro, di un proprio adattamento, anche nel modo di coordinarsi con le altre azioni come mangiare, parlare, ridere e sospirare.

La coordinazione, che è una delle qualità essenziali dell’attività umana, è così spontanea, naturale e automatica nella sua inconsapevolezza che si modula per adattarsi a tutto quello che facciamo.

Inoltre, respirare influisce sul nostro stato d’animo, come dimostrano pratiche come lo yoga e tutte le altre antiche tradizioni meditative che insegnano a controllare l’inspirazione e l’espirazione. Negli ultimi anni i ricercatori hanno scoperto alcuni dei meccanismi neurali che sono alla base della respirazione e il modo in cui quest’attività influisce nella relazione corpo-mente. Hanno individuato una rete di neuroni situata nel tronco cerebrale, responsabile del ritmo respiratorio.


Cosa significa?

Significa che si è aperta la strada a nuove ricerche sul modo in cui il sistema nervoso centrale coordina la respirazione con gli altri comportamenti. Ricordiamo che il sistema nervoso centrale è un luogo di scambio in cui vengono rielaborate le informazioni raccolte dal sistema nervoso periferico e da cui partono informazioni da distribuire attraverso lo stesso sistema nervoso periferico.

Il sistema nervoso periferico, a sua volta, serve a mettere in connessione il sistema nervoso centrale con gli arti e con vari organi e tessuti presenti nel corpo, a fare arrivare tutte le informazioni.

È stato provato che il respiro può influenzare le attività di ampie aree cerebrali, comprese quelle che regolano le emozioni e la cognizione.

Uno dei pionieri di questo pensiero è lo scienziato Jack L. Feldman, insieme ai suoi collaboratori dell’Università della California e grazie a loro, oggi possiamo affermare che l’atto dell’inspirazione ha un effetto sulla nostra memoria diverso rispetto a quello dell’espirazione, a condizione che respiriamo dal naso e non dalla bocca.


Come si è arrivati a capire ciò?

Studiando la respirazione.

Il Journal of Neuroscience ha pubblicato uno studio condotto da un team di ricercatori della Northwestern University Feinberg School of Medicine Chicago in cui si stabilisce un collegamento tra il ritmo della respirazione, la memoria e la paura oltre che con altri compiti nell'ambito della salute fisica e mentale, tra cui l’interazione con le emozioni.

Lo studio di Feldman ha preso in esame sessanta partecipanti che hanno eseguito due compiti in momenti diversi. Ai partecipanti è stato chiesto prima di guardare un volto in una foto e individuare l’emozione espressa (poteva essere sorpresa o paura) nel minor tempo possibile e quindi di memorizzare le immagini di alcuni oggetti.

I risultati hanno dimostrato che quando gli individui inspiravano riuscivano più rapidamente a individuare la paura e ricordavano più facilmente oggetti che erano stati presentati. Lo studio ha evidenziato quindi che la respirazione è un’attività complessa al punto da coinvolgere cervello-emozioni-memoria. Inoltre, la ricerca ha dimostrato che durante l’inspirazione e l’espirazione si verifica un’importante differenza nelle aree dell’amigdala e dell’ippocampo, che sono due strutture molto importanti rispettivamente per le emozioni e per la memoria.

L’amigdala attribuisce significato emotivo a informazioni di stimoli provenienti dal mondo esterno, dall’interno del corpo e dal cervello, come pensieri e ricordi e non fa distinzione tra la stimolazione “reale”, cioè proveniente dall'esterno, e quella “immaginata” cioè interna, nell’evocare emozioni e segnali efferenti.

L’ippocampo invece contribuisce alla memoria a breve e a lungo tempo, alla memoria spaziale e all’orientamento. Tutte queste conoscenze hanno aperto nuovi e importanti orizzonti per la ricerca.


Come funziona nello specifico la respirazione?

Sappiamo che la respirazione è fondamentale per la nostra sopravvivenza ed è un processo che svolgiamo in modo semi-cosciente e continuo durante la nostra vita.

Agli inizi degli anni '90 i neuroscienziati hanno individuato una rete di neuroni del tronco cerebrale, ovvero nel midollo allungato ed in particolare nel complesso chiamato preBotzinger, la sede fondamentale per la generazione, la gestione e il mantenimento del ritmo respiratorio. Il ritmo del respiro, a sua volta, si adegua alle esigenze ambientali interne ed esterne al corpo.


Come funziona il meccanismo della respirazione?

Feldman, che è anche coautore di un articolo sull’interazione tra respiro ed emozioni pubblicato a luglio 2022 sulla Annual Review of Neuroscience, spiega che la respirazione svolge molti compiti ed è una funzione molto complessa.

Un esempio rappresentativo riguarda come i pensieri catastrofici o quelli positivi ricadano sul nostro sistema respiratorio e come esso con il suo ritmo influenzi il sistema mente-corpo, portando modificazioni a livello posturale e metabolico. Il respiro con il suo ritmo deve coordinarsi con tutte queste variazioni complesse e profondamente legate tra di loro.

I polmoni umani contengono in media cinquecento milioni di minuscole sacche chiamate alveoli. Attraverso le loro pareti avviene lo scambio dei gas tra le vie aeree e il flusso sanguigno. Questa azione così naturale è fondamentale poiché non si limita solo a tenerci in vita, ma sincronizza le attività del cervello, permettendogli di avere un ruolo cruciale nella creazione dei ricordi, e influisce sul benessere psicologico.

La cosa interessante è che i mammiferi, compresi noi umani, hanno un’enorme quantità di superficie polmonare”, afferma Feldman. “Maggiore è l’estensione, più ossigeno è scambiato al secondo, questo significa che se ci troviamo di fronte a un corpo contratto con incapacità di estensione, questo scambio viene alterato”.

Succede a ogni inspirazione: il diaframma, il muscolo della parte superiore dell’addome, si contrae, spostandosi verso il basso di circa un centimetro, contemporaneamente i muscoli intercostali spingono la cassa toracica verso l’alto e all’esterno, permettendo ai polmoni di dilatarsi e riempirsi d’aria. A riposo questi muscoli si contraggono solo in fase inspiratoria. L’espirazione invece è un’azione passiva: quando diaframma e intercostali si rilassano i polmoni si sgonfiano. Come regola, a riposo un umano adulto respira a una velocità compresa tra dodici e diciotto respiri al minuto. Questo meccanismo neuromuscolare avviene grazie ai neuroni che generano ritmo e frequenza respiratoria.

Un’altra idea che può spiegare il funzionamento del meccanismo che regola respiro e cervello si basa sullo studio delle onde cerebrali, che vengono misurate con degli elettrodi fissati al cuoio capelluto. Queste onde esprimono la somma dell’attività cerebrale e il coordinamento tra le diverse aree dell’encefalo potrebbe essere alla base della “coscienza” e la respirazione naturale influenza diverse regioni del cervello, tra cui l’ippocampo (quindi la memoria) e l’amigdala (quindi l’elaborazione delle emozioni).

Molti neuroscienziati ipotizzano che i ricordi si formino nell’ippocampo per poi essere trasferiti, durante il sonno, alla corteccia, dove la memoria viene immagazzinata. Si pensa che questo processo richieda un’attività sincronizzata tra le due aree del cervello. Le prove che la respirazione influisce sulle onde cerebrali sono inoppugnabili, anche secondo Tort, ma il prossimo passo è capire quali sono gli effetti sul comportamento, sulla cognizione e sulle emozioni.


Cosa rende interessante il ritmo del sospiro?

La ricerca sul sospiro, su come esso modula il ritmo della respirazione e su come il cervello e le sue interazioni si sincronizzano con il respiro e altre attività. Il sospiro è un atto quasi magico con la sospensione del suono e le sue pause, ed ha anche la funzione di stimolare altri sensi.

Un respiro lungo e profondo può esprimere molte cose: tristezza, sollievo, rassegnazione, desiderio, stanchezza. Per esempio, quando facciamo un’attività o uno sforzo fisico, entrano in gioco diversi gruppi muscolari che si contraggono per spingere l’aria fuori allo scopo di accelerare la frequenza della respirazione. Diversamente dal cuore, in cui sono le cellule pacemaker a dettare il ritmo della contrazione, la respirazione è sotto il dominio del cervello. Questo ha permesso ad alcuni neuroscienziati di ipotizzare che la comunicazione tra regioni cerebrali lontane tra loro potrebbe essere la base di alcuni aspetti importanti della cognizione. Potrebbe trattarsi, per esempio, del mezzo con cui il cervello integra gli stimoli sensoriali elaborati separatamente nelle regioni uditive e visive, in modo da produrre quella che viviamo come la continuità tra i suoni e le immagini di una scena.

L’Ipotesi degli scienziati è che questo meccanismo di sincronizzazione potrebbe essere alla base della coscienza stessa. Inutile dire che ciò è difficile da dimostrare, ma sembra ormai accertato, invece, che la respirazione ha un suo ritmo dettato dal cervello, da un “metronomo nella mente”.

Ci sono degli studi in questo senso?

Su questo argomento sono al lavoro molti gruppi di ricerca. Nel 2016 il team del neuroscienziato Adriano Tort dell’università federale di Rio Grande do Norte, in Brasile, ha studiato la relazione tra la respirazione e il cervello nei topi. Nello stesso periodo, la neuroscienziata Christina Zelano e i suoi colleghi riportavano risultati simili negli esseri umani: usando i dati degli elettrodi posizionati dai chirurghi nel cervello di pazienti affetti da epilessia, hanno scoperto che la respirazione naturale sincronizza le oscillazioni all’interno di diverse regioni del cervello, tra cui l’ippocampo.

Per quanto riguarda il sospiro, si pensa che tutti i mammiferi lo facciano, probabilmente perché quest’azione svolge un’importante funzione biologica oltre che espressiva.

Gli esseri umani sono in grado di sospirare spesso e per pochi minuti, assorbendo circa il doppio dell'aria di una normale inspirazione. Ciò serve ad aprire gli alveoli dei polmoni, un po’ come le dita di un guanto di lattice quando ci si soffia dentro.

Come si spiega questo meccanismo?

Per comprenderlo, i ricercatori sono partiti dalla laringe, organo principale nella produzione dei suoni, e hanno lavorato a ritroso. Usando delle sostanze traccianti hanno identificato i neuroni che li controllano e sono risaliti al punto della loro origine nel tronco encefalico, un’area che hanno chiamato oscillatore reticolare intermedio (IRO). Hanno scoperto che inibire l’attività di questa regione impediva l’emissione di suoni, stimolandola, invece, la frequenza dei lamenti aumenta.

“Il numero di sillabe pronunciabili in un secondo è simile in tutte le lingue conosciute”, dice Yackle e ipotizza che questo sia dovuto ai limiti che derivano dalla necessità di coordinare l’emissione vocale e la respirazione. Altri studi recenti hanno dimostrato che il respiro può influire sulle prestazioni delle persone e che il punto del respiro in cui una persona si trova nel ciclo di inspirazione ed espirazione può influenzare abilità diverse, come la percezione di un tocco leggero o la capacità di distinguere oggetti tridimensionali.

Inoltre, uno studio ha rivelato che le persone tendono a inspirare subito prima di affrontare un compito cognitivo, e questo migliora la prestazione. Sembra tuttavia che questo miglioramento sia prodotto solo se si respira con il naso, e non attraverso la bocca.


C'è un modo per influenzare la respirazione?

Sicuramente Yoga e meditazione. Da millenni, chi pratica lo yoga e altre antiche forme di meditazione usa la respirazione controllata per influire sul proprio stato mentale. Di recente i ricercatori sono sempre più interessati a comprendere i meccanismi biologici che producono questi effetti e a come possono essere applicati per aiutare chi soffre di ansia e disturbi dell’umore.

Secondo Helen Lavretsky, una psichiatra dell’università della California a Los Angeles, uno dei problemi principali è isolare gli effetti della respirazione da quelli prodotti dalle altre componenti di queste pratiche. “È molto difficile distinguere ciò che influisce di più fra stretching, movimento, visualizzazione e canto”, dice. Per non parlare del valore culturale e spirituale che molte persone attribuiscono alle discipline come lo yoga.

Da anni Lavretsky collabora con neuroscienziati e altri studiosi per capire in che modo diversi tipi di meditazione agiscono sul cervello e sui marcatori biologici dello stress e della risposta immunitaria. Ha scoperto che meditare può migliorare le performance mnemoniche nei test svolti in laboratorio e modificare le connessioni neuronali negli anziani che soffrono di un lieve decadimento cognitivo che è una condizione che può precedere l’Alzheimer e altri tipi di demenza.

In alcuni studi preliminari, Lavretsky, che è anche istruttrice di yoga, sta cercando di capire l’effetto delle tecniche di controllo del respiro. “Anche se sono una psichiatra” dice “lo scopo della ricerca è evitare la prescrizione di farmaci”. E pensa che gli esercizi di respirazione potrebbero essere una buona alternativa per molte persone, specialmente quando avremo capito quali sono le tecniche più efficaci per ogni disturbo e come personalizzarle caso per caso. “Tutti abbiamo questo strumento, dobbiamo solo appropriarcene”.

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