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Miti e realtà sul piacere femminile - Parte 2



Con il Rinascimento si riprendono gli studi anatomici e risale a questo periodo la scoperta di uno scienziato veneziano Matteo Realdo Colombo, di un piccolo organo ritenuto essere “principalmente il luogo di piacere femminile”. Nel suo testo “De Re Anatomica”, Colombo lo descrive così: “Se lo si tocca lo si riscopre tiepido ed oblungo tanto da mostrarsi come una sorta di membro maschile, se lo si strofina vigorosamente con un pene, lo si tocca anche solo con un dito, a causa del piacere il seme volatile si sparge ovunque. Senza tale protuberanza, la donna non sperimentano il piacere negli amplessi venerei né concepirebbe feti”.

Questa protuberanza oggi è nota come clitoride.


Nel 700 gli ideali umani mutano, la ragione prevale sul sentimento, in tutti i campi del sapere si avverte il bisogno della ragione. Il secolo dei Lumi rivendica libertà in tutte le sue forme di espressività, risveglia il piacere dei sensi. L’erotismo diventa la crociata dei libertini contro l’influenza religiosa. Nel movimento di ribellione ed emancipazione vengono arruolate anche le donne.


Durante l’epoca vittoriana la sessualità femminile conosce un altro periodo di buio e di forte repressione.

Nel 1842 l’Enciclopedia Britannica sosteneva che durante il corteggiamento la donna avrebbe dovuto mantenere un atteggiamento esterno dolce e modesto ed esprimere i propri sentimenti solo con un timido “rossore” o il più “flebile dei sensi”.

Il piacere femminile scompare all’interno del matrimonio, le mogli devono essere partner sessuali solerti e privi di trasporto. Durante l’amplesso la donna deve rimanere immobile e compiacere il marito solo per procreare, godere era un segnale poco onorevole e relegato alle prostitute. Il piacere “castrato” lo si può osservare anche dagli usi e costumi, basti pensare che le gambe dei tavoli venivano coperte perché espressione di simboli fallici.

Nella famosa rivista Psychopathia sexualis (1896) il neurologo tedesco Richard Von Krafft – Ering, sostiene che le donne con un eccessivo appetito sessuale sono ninfomani. Il piacere deve rimanere debole perché se non fosse così il mondo diventerebbe una sorta di bordello e le donne prostitute, incompatibili con la famiglia e il matrimonio.

La masturbazione rimane un tabù assoluto.


Nel 1903 in America il Dott. Smith pubblica su The Pacific Medical Journal una guida intitolata “Signus of masturbation in the female” allo scopo di aiutare i colleghi durante le visite a cogliere la presenza di attività masturbatorie nelle donne. La diversità della lunghezza di ciascuna delle piccole labbra per Smith era indice di vizio.

Una serie di comportamenti femminili giudicati devianti: desiderio, fantasie, lubrificazione, ma anche melanconia e irritabilità, vengono considerati sintomi di un disturbo femminile: l’isteria.

In altre parole, le manifestazioni di un desiderio femminile inappagato, si riconvertono in un problema medico, che veniva affrontato come tale.

Veniva curato con docce fredde terapeutiche dirette verso i genitali, oppure altri metodi più cruenti come quello del dott Guerin, che bruciava il clitoride con un ferro ardente sostenendo di curare le ragazze affette da “onanismo”, la pratica anticoncezionale del coitus interruptus.


L’altro trattamento raccomandato ai tempi di Ippocrate per trattare l’isteria è il massaggio delle parti genitali.

Non solo nell’antichità, ma anche nel Medioevo, nel Rinascimento e in Epoca Moderna, il massaggio manuale della vulva da parte di un sanitario, rappresentava la cura di elezione fino agli anni ‘20. L’orgasmo ottenuto con la pratica non veniva mai qualificato come tale, si trattava di un intervento medico destinato a provocare “crisi isterica” per purificare il corpo dagli umori nocivi della donna.

Nel 1653 un famoso medico olandese Peter Van Forest, pubblica un articolo dedicato alle malattie femminili. Per curare l’isteria consigliava che alla donna venissero massaggiati i genitali da una levatrice: questa pratica veniva definita stimolazione parossistica.

Nel 1869, con il medico inglese George Taylor, fa la sua comparsa il vibratore, un presidio medico per curare le donne affette da isteria, per sostituire gli estenuanti massaggi vulvari manuali effettuati dai medici.

Il vantaggio del vibratore era costituito da un punto di vista simbolico dal fatto che assomigliava ad un pene e quindi le donne raggiungevano l’ orgasmo in tempi più brevi. Successivamente il vibratore viene perfezionato dal dott Joseph Mortimer Granville che costruisce i primi prototipi elettrici.

E così negli anni venti i primi esemplari appaiono nei film porno, e da presidi medici diventano presidio ludico.


In una società dove la sessualità femminile non aveva spazio, la produzione di orgasmi clinici rappresentava una valvola di sicurezza, relegando il piacere femminile all’interno degli ambulatori medici.

In questo modello di sessualità androcentrico affonda le radici la teoria di Freud, secondo cui le donne “normali” sono quelle che raggiungevano l’orgasmo con la penetrazione. Con la teoria freudiana si avalla ancora una volta la visione maschile dominante inducendo la donna a rispondere all’attività sessuale più gratificante per l’uomo. L’incapacità di raggiungere un orgasmo durante un rapporto coitale era considerata una forma di immaturità oltre che l’esperienza di uno stato nevrotico.


Una piccola rivoluzione avviene con un libro scritto da Marie Stopes, intitolato "Married love" (1918), la quale sostiene l’idea che un matrimonio riuscito fornisce appagamento sessuale per entrambi i partner: comincia pian piano a emergere l’idea che anche le donne abbiano il diritto al piacere, e non necessariamente responsivo a quello maschile.

Nel 1953 A. Kinsy, biologo dell’Indiana University, pubblica “Il comportamento sessuale della donna”, un libro che contiene i risultati del comportamento sessuale femminile condotto su 5.940 donne americane intervistate. Il dato sorprendente fu che il 62% delle donne intervistate ammetteva di masturbarsi: la ricerca del piacere fine a se stessa diventava una prerogativa femminile. Sfatava il mito della moglie asessuata e sottolineava come la donna potesse ricevere piacere.

Negli anni ’50 il ricercatore americano Gregory Pincus realizza il primo contraccettivo, la pillola anticoncezionale, commercializzata negli anni ’60. Fu un cambiamento epocale: il potere di controllare la fertilità passa alle donne, che possono godersi la sessualità senza il timore di avere gravidanze indesiderate, e inizia una sessualità che passa dalla procreazione alla ricreazione.

Altra tappa importante è il divorzio, che negli anni ’70 pone fine alla indissolubilità del matrimonio.


I cambiamenti veloci in pochi decenni cambiano lo scenario, lo stravolgimento è che la donna inizia a sottrarre all’uomo un potere di secoli indiscussi. Dopo essersi conquistata la tanto ambita sessualità libera, si trova ora ad affrontare un altro problema: la dilagante insoddisfazione.

Una ricerca condotta dall’Università di Chicago del 2009 (Waite, Laumann) riferisce che sono le donne ad avere più problemi a raggiungere la soddisfazione sessuale: il 43% delle donne contro il 31% degli uomini soffre di “disfunzione sessuale”.

Un altro studio dell’Università dell’Indiana, pubblicato nel 2010 (Siemazko) sostiene che solo il 64% delle donne del campione, dichiara di aver raggiunto l’orgasmo l’ultima volta che ha fatto sesso.


Oggi su questi dati la scienza ci dà una mano a conferma che il vero appagamento sessuale può passare solo attraverso una integrazione tra piano fisico, emotivo e relazionale, almeno quando si parla di piacere femminile.



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